Senna, le mie figlie e me. Riflessioni e ricordi a partire dalla serie biografica su Netflix

09 dicembre 2024
3,5 di 5
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È una delle serie più viste sulla piattaforma della N rossa, quella che racconta la vita e la carriera del tre volte campione del mondo di Formula 1 Ayrton Senna, morto trent'anni fa in un terribile incidente durante il GP di Imola. Uno che è stato molto caro al nostro Federico Gironi, che ha visto la serie e che così la racconta per noi.

Senna, le mie figlie e me. Riflessioni e ricordi a partire dalla serie biografica su Netflix

Quando Netflix ha annunciato che avrebbe prodotto una serie tv biografica su Ayrton Senna, ammetto di aver storto un po’ il naso.
Detesto la retorica dell’intoccabilità, aborro chi si straccia le vesti di fronte a chi si sia permesso di toccare il suo personaggio preferito o rifare il suo film del cuore, ma allo stesso tempo devo ammettere che, sebbene sia stato sempre e mio malgrado piuttosto impermeabile al tifo sportivo, quel pilota brasiliano lì, in quegli anni in cui seguivo con passione la Formula 1, acquistando Auto Sprint tutte le settimane, ha rappresentato per me qualcosa di speciale, e forse di unico.
Insomma: devo ammettere che, più che dispiacere, provavo quasi della preoccupazione al pensiero che uno dei pochissimi sportivi della storia per cui io abbia fatto un purissimo tifo potesse essere raccontato malamente dall’ennesima serie non memorabile che sarebbe andata a affollare il già congestionato panorama delle piattaforme di streaming.
Sulla preoccupazione, però, ha vinto la curiosità.
In più, la serie Netflix su Senna è arrivata nel momento in cui, per ragioni puramente sentimentali, la figlia più grande si sta non dico appassionando ma almeno interessando alla Formula 1, mentre la figlia più piccola era già stata conquistata dalle imprese di Ayrton quando, il 1° maggio scorso, il giorno del trentesimo anniversario dell’incidente di Imola, avevo deciso di rivedere il documentario di Asif Kapadia su di lui, e lei mi si era incastonata di fianco, sul divano, facendomi mille domande su quel che stavamo guardando.
Permettetemi anche un piccolo spoiler, e lasciatemi dire fin da ora che alla fine del documentario, così come alla fine della serie, sia io che lei avevamo gli occhi rossi.

Senna: il trailer della serie tv Netflix

Cosa devo dire, quindi, su Senna la serie? Cosa posso dire da critico, qualsiasi cosa questo voglia dire? La mia già scarsa oggettività, in questo caso, va a farsi benedire, soppiantata da un affetto irrazionale e profondo per il personaggio che racconta.
E allora sì, va bene, forse sarà un po’ troppo agiografica, e poco interessata a esplorare la psicologia del suo protagonista, ma come racconto sintetico e spettacolare, complici sole sei agili puntate, funziona; forse per chi ha ben chiaro in mente il volto di Ayrton Senna vedere il pur volenteroso Gabriel Leone indossarne la tuta e gli abiti civili può essere all’inizio spiazzante, ma non c’è dubbio che l’attore brasiliano riesca a restituire quello strano equilibrio tra figaggine e fragilita. carisma e malinconia, che caratterizzavano il vero Ayrton; e magari quando tra pochi mesi vedremo il favoleggiato film sulla Formula 1 con Brad Pitt, quello diretto da Joseph Kosinski, ci ricrederemo sbalorditi dalla sua messa in scena, ma per ora si può tranquillamente ammettere che, anche dal punto di vista della resa spettacolare, le scene di corsa funzionano decisamente bene.
Insomma, nel suo essere conforme, in pregi e difetti, a uno standard produttivo che vuole rispettare senza troppa originalità regole e impianti di sceneggiatura e storytelling, e nel suo mostrare sullo schermo la cura tecnica che il budget permetteva, Senna è una serie che funziona nella sua intrinseca medietà.
È nella forza del suo protagonista, e nella cura di alcuni piccoli dettagli, però, che trova la forza di sollevarsi sopra quella stessa medietà, che uno come Ayrton di certo non avrebbe approvato.

La questione, dal punto di vista dell’appassionato, è chiara.
Perché Senna la serie è una sorta di messa in prosa più distesa e con maggiori concessioni al racconto (non necessariamente alla finzione) di Senna il documentario. I momenti chiave raccontati da quel film sono tutti ma proprio tutti lì anche nella serie: il che non è un difetto, quanto la dimostrazione della testardaggine con cui i realizzatori della serie hanno voluto essere filologicamente corretti. Nella ricostruzione delle scene in pista come in quelle di dialogo; nell’uso letterale di molte dichiarazioni pubbliche e non di Ayrton; nella voglia di essere nuovamente camera dell’eco di alcuni dei momenti cruciali della vita, della carriera e della mitologia del più grande pilota mai sedutosi dentro l’abitacolo di un’auto di Formula 1.
E quindi?
Quindi credo che ogni fan di Ayrton Senna, o chiunque sia troppo giovane per averlo visto in pista e voglia oggi sapere qualcosa di più su di lui può usare questa serie come uno dei vertici di una sorta di triangolo magico senniano, lì dove gli altri due sono rappresentati uno dal citato e omonimo documentario di Asif Kapadia (e che per entrambi i prodotti il titolo sia solo il cognome del loro protagonista, secco e diretto, la dice lunga su quanto questo nome conti nell’immaginario), e l’altro da un libro bellissimo e commovente, quel “Suite 200” scritto benissimo da Giorgio Terruzzi che, esattamente come il documentario e la serie, ripercorre vita e carriera di Ayrton, cercando nei fatti sprazzi di psicologia e di inconscio, a partire da quel weekend maledetto del 1994, quando Imola su funestata da incidenti (Barrichello il venerdì, Letho e Lamy la domenica), dalla morte di Roland Ratzenberger durante le prove, e dallo schianto mortale della Williams di Senna alla curva del Tamburello.

Senna: il trailer del documentario di Asif Kapadia

Quel giorno, il 1° maggio del 1994, io avevo vent’anni, e sebbene Senna corresse ancora la febbre della Formula 1 mi stava passando.
Invece di sedere davanti alla tv a guardare il gran premio mi trovavo su una spiaggia del litorale romano con degli amici, a ridere, scherzare, bere birra, mangiare gli spaghetti con le vongole e giocare a frisbee con svogliata pigrizia. Fu, credo, mentre eravamo in auto tornando a Roma che qualcuno accese la radio, e allora venni a sapere di un brutto incidente, di una gara sospesa, di una morte tragica. Da allora, per molti e molti anni, la Formula 1 uscì dalla mia vita. Per stupido che fosse, provavo e provo ancora un sottile senso di colpa per non aver seguito Ayrton Senna nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima corsa.
Ricordarlo e farlo conoscere alle mie figlie (o al fidanzato della grande, quello che l'ha spinta a seguire la F1), con un libro, un documentario o una serie, oltre che per rievocare una parte della mia vita, omaggiare una passione, e celebrare quello che è stato uno straordinario campione ma anche un grande essere umano, è allora forse anche un modo per esorcizzare quella colpa sottile e irrazionale che ancora mi porto dentro.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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