The Acolyte: La seguace, la recensione della serie di Star Wars, tra misteri e jedi fallaci
Si è conclusa su Disney+ la serie The Acolyte: La seguace. Interpretata da Amandla Stenberg e Jung-jae Lee, è interessante ma rischia di accartocciarsi sulle idee stesse che la sorreggono.
Nell'era di Star Wars dell'Alta Repubblica (duecento anni prima dell'inizio della saga degli Skywalker, per i non adepti), una misteriosa assassina (Amandla Stenberg) sta uccidendo alcuni Jedi. La ragazza è identica a Osha, ex-padawan che ha rinunciato all'addestramento del tormentato maestro Sol (Lee Jung-jae). Cosa lega le due gemelle? E cosa nascondono i cavalieri Jedi che anni prima hanno condiviso una traumatica esperienza? Sono gli unici ad avere accesso alla Forza?
Tante domande in The Acolyte - La seguace, serie che la Lucasfilm ha messo in mano alla showrunner Leslye Headland. L'autrice e il suo team hanno mirato molto in alto, forse troppo in alto per riuscire a mantenere salda la mira attraverso gli otto episodi di un racconto intricato. L'elemento più affascinante, non nuovo ma raramente descritto con una tale cattiveria, è l'inadeguatezza dei Jedi, specialmente quando le loro buone intenzioni si scontrano con il ruolo politico, già a questo punto assunto nella galassia. Vero eroe tragico della vicenda è il Sol ben interpretato e incarnato dal Lee Jung-jae di Squid Game, vittima di un errore di valutazione, non abbastanza sincero con se stesso ma poco o nulla sostenuto da una superiorità dei colleghi che rasenta il cinismo e la realpolitik. Un bell'azzardo. Certo, le difficoltà dei Jedi nell'essere coerenti con la loro missione di "mantenere la pace" sono state alla base di molti racconti starwarsiani, in particolar modo nella trilogia prequel di George: però qui Headland vuole tanto ribaltare le aspettative, da far traballare persino quell'aura di rispetto che hanno sempre suscitato, anche nei momenti più ambigui e complessi. Pur gestendo la Forza, questi jedi sono piuttosto deboli: è una sensazione interessante.
Il dualismo Lato Oscuro / Lato Chiaro è poi tradotto in un gioco narrativo e di messa in scena: lo sdoppiamento si incarna letteralmente in Osha e Mae, interpretate dalla stessa attrice, Amandla Stenberg. Non sono mancate critiche alla recitazione in questa serie, ma considerando la complessità recitativa del compito specifico di Amandla, ci sembra se la sia cavata piuttosto bene.
Insomma, sulla carta ci sono umanità, dramma e una potenzialmente centrata idea visiva nel casting, ideale per approfondire le classiche tematiche starwarsiane in modo suggestivo, andando alla radice di un conflitto atavico dei Jedi con i loro avversari storici, che rivendicano l'uso alternativo della Forza. Nello spiegamento pratico di queste idee sotto forma di sceneggiatura e regie, ci è sembrato che qualcosa in The Acolyte tuttavia si sia inceppato. Impostato come un gioco di scatole cinesi, il racconto procede per successivi svelamenti, cambiando anche il punto di vista sulle vicende, con un paio di episodi dedicati addirittura allo stesso flashback, con due diverse letture. Headland ha il gusto della sorpresa e non si risparmia l'eliminazione fisica disinvolta di svariati personaggi, ma nell'inseguire questa struttura, questa provocazione continua della curiosità del pubblico, la fluidità del racconto forse ne ha risentito, tra i ribaltamenti di fronte continui, a volte troppo repentini (senza contare che non tutte le sorprese sono così imprevedibili). Le regie poi si sono rivelate in media piuttosto piatte, tanto che il budget record della serie non si traduce in una particolare spettacolarità, se paragoniamo il risultato coreografico di The Acolyte a quello dei vari Mandalorian, Obi-Wan o Ahsoka.
In definitiva, The Acolyte - La seguace si fa seguire con curiosità, ma a stagione terminata abbiamo avuto la netta sensazione che il risultato sia stato inferiore alla somma delle parti, anche se rimane il pregio di aver proposto una delle visioni più cupe dei Jedi.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"