Familia: la recensione del film di Francesco Costabile
Un nucleo familiare alle prese con anni di tensione e violenza mentre i due figli maschi crescono con la paura del padre e in cerca di protezione per la madre. Una storia vera ha ispirato il secondo film di Franceso Costabile. La recensione di Mauro Donzelli di Familia presentato a Orizzonti al Festival di Venezia.
È la violenza, la vera protagonista di questa storia. Per lo più silenziosa e strisciante, capace di influenzare più quanto avviene fuori campo, e indirizzare lo stato d’animo dei protagonisti, che ne portano ferite interne ancor più che superficiali. Li vediamo più alle prese con le conseguenze del clima di tensione costante imposto alla moglie e ai due figli da un padre/marito prototipo da manuale di un patriarcato solo apparentemente lontano nel tempo, soffocante nell’imporre la sua anima sofferente, in una distorta concezione dell'amore che appare una forzatura anche solo pensare come tale. Una storia come tante altre, purtroppo, anche se Familia racconta di Luigi Celeste, un personaggio e una persona realmente esistita, che ha raccontato la sua vicenda nel libro che ha ispirato il film, Non sarà sempre così.
Dopo Una femmina, Francesco Costabile torna nella sua opera seconda a parlare dell’oppressione all’interno delle mura domestiche, anche se in un contesto molto lontano rispetto all’entroterra montuoso del sud Italia. Frequenta la periferia anonima romana nel raccontare di Luigi e del fratello Alessandro, partendo dalla loro infanzia, dalle prime urla e le botte in casa, fino a delineare il decorso drammatico e inevitabile nella seconda parte, quando da ventenni si trovano di fronte a una triste rappresentazione nella vita vera di una vicenda che sembra uscita da un dramma classico.
I due ragazzi hanno un legame molto profondo con la madre Licia, alimentato ovviamente dal passaggio innaturale, o quantomeno prematuro dal punto di vista anagrafico, da cuccioli protetti dalla madre a giovani adulti costretti a diventare i protettori, a fronteggiare le riapparizioni di un padre da cui sono riusciti a fuggire, ma che dopo dieci anni di assenza torna a sconvolgere un complesso equilibrio raggiunto sacrificando una crescita serena, in cui almeno Luigi ha sacrificato le pulsioni violente sull’altare di un avvicinamento alla destra estrema skinhead. È lui, grazie a un'interpretazione davvero convincente e di grande maturità (premiata a Venezia) di Francesco Gheghi, più che il fratello apparentemente quieto, a trasmettere la paura di una riproposizione dello schema di prevaricazione del padre. Familia racconta anche di questo, di come il Maschile, inteso nella sua accezione più minacciosa e avvelenata, a rischio genetico, viene domato dai figli, cresciuti da un padre temuto e solo con difficoltà, e raramente, amato, seppur on sfumature differenti dai due fratelli.
Di Leva riesce a trasmettere la brutalità di questo padre senza renderla ultraterrena, ma facendola strisciare sulla terra e all’interno di quattro mura, monito di un rischio reale, non uomo nero da racconto per bambini. Un percorso di rinascita che passa forzatamente da una nuova nascita, dal recupero di una quieta normalità estirpando il cancro inguaribile. Drammaticamente attuale, Familia ci pone di fronte a uno specchio oltre che a uno spettro, a un dolore diffuso nelle nostre società e all’interno delle nostre case. Lo fa con un sapiente uso della complessità e uno sguardo credibile ma non scolastico. Costabile si conferma narratore dell’intimo sofferente, di un quotidiano irrespirabile, anche alle prese con un materiale di partenza che non spicca per originalità.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito