Aprire il Festival di Cannes 2025 nel segno di Charlie Chaplin
I festival saranno pure la vetrina del cinema più nuovo e innovativo in circolazione, ma c'è chi sceglie di dedicare la giornata dell'apertura del Festival di Cannes 2025 a un capolavoro del cinema che quest'anno compie cent'anni tondi tondi: La febbre dell'oro. Ecco perché.

Nel corso degli anni si è sparsa a Coming Soon e presso parte dei suoi lettori la voce che io sia un critico (o un appassionato di cinema, o quello che sono o volete che sia) dai gusti e dagli atteggiamenti un po’ snob. Volontariamente o meno, ho adottato spesso pose e posizioni che la blandiscono, questa voce, che la confermano in maniera ostentata e affettata, e quando oggi, arrivato a Cannes mi sono trovato di fronte a una possibile scelta, ho puntato tutto in quella direzione.
Come molti di voi sapranno, il film che apre la 78esima edizione del Festival di Cannes è una commedia francese - peraltro musicale - che si intitola Partir un jour: un film - e qui cito Mauro Donzelli, che l’ha visto e che ve ne parlerà - che è l’opera prima di Amélie Bonnin, e che ha un cast privo di notorietà internazionale. Un’apertura che trova le sue ragioni negli accordi che il festival francese ha con la distribuzione locale (deve trattarsi di un film che esce in sala subito o quasi), ma che, diciamocelo, sulla carta è apparsa un po’ sottotono. Una di quelle aperture, per intenderci, che Venezia non si sarebbe mai potuta permettere, altrimenti giù polemiche e richieste di dimissioni.
Allora, siccome - siamo tra amici e sono sincero - non è che morissi dalla voglia di vedere il film, la mia mossa snob è stata quella di non andare, e di riorganizzare la mia giornata attorno al film che di Cannes 2025 rappresenta la cosiddetta preapertura. Un film che compie in questo 2025 cento anni tondi tondi: La febbre dell’oro del genio Charlie Chaplin.
Non so quanti di voi abbiano visto La febbre dell’oro. In sala, qui a Cannes, magari non la metà ma un terzo abbondante della platea non l’aveva mai visto (Thierry Fremaux chiede, e il pubblico risponde). E magari c’è qualcuno che sta pensando “mamma mia, per carità, un film in bianco e nero muto, con un secolo di vita”.
Ecco: se state pensando così state sbagliando, e forse dovreste in qualche modo dubitare del vostro amore per il cinema. Perché La febbre dell’oro - restaurato splendidamente, e frutto di un lavoro di ricerca negli archivi di mezzo mondo per arrivare alla versione più vicina possibile a quella originaria, che Chaplin negli anni Quaranta decise di far sparire per dare spazio a una nuova versione rielaborata - è un film ancora oggi straordinario, e - perdonate la banalità - con più cinema in una sua singola inquadratura della maggior parte dei film che vediamo oggi in sala, perfino ai festival, e stendiamo un velo pietoso sulle piattaforme.
In quello che per il 1925 era un vero e proprio kolossal, con scenografie e effetti speciali sorprendenti ancora oggi, Charlie Chaplin ha inventato, o perfezionato, o utilizzato in maniera se non nuova esemplare, tutto quello che era ed è ancora il linguaggio del cinema e delle immagini in movimento. Nella Febbre dell’oro c’è una comicità geniale e fantasiosa, c’è una malinconia delicata e profonda, c’è la forza travolgente delle passioni umane: che si tratti di amore, di cupidigia o perfino di necessità fisiologiche come la necessità di nutrirsi, della fame più nera.
La febbre dell’oro, per intenderci, è il film in cui il vagabondo di Chaplin, quello con la bombetta e il bastone di bambù e i pantaloni larghi e la giacchetta stretta che chiamiamo anche Charlot, fa il cercatore d’oro in Alaska (meglio: nel Klondike, come zio Paperone), finisce in un capanno con un energumeno e un ricercato, cucina e mangia la sua scarpa, arriva un villaggio di minatori dove s’innamora della bella Georgia, viene scherzato da lei e dal suo spasimante, fa danzare due pagnotte di pane con le forchette, viene trasportato dal vento con tutta la baracca in cui è tornato sull’orlo di un precipizio e poi si ritrova milionario, coronando anche il suo sogno d’amore. E tutto questo viene raccontato da Chaplin attraverso un cinema purissimo, e straordinariamente moderno.
Vedetelo, e fatelo vedere, La febbre dell’oro, che verrà nuovamente distribuito in tutto il mondo per il suo centenario, e in Italia arriverà grazie alla Cineteca di Bologna, che ha dato il suo fondamentale contributo al restauro. Fatelo vedere a tutti: bambini e adulti, stranieri e italiani, e vedrete che a tutti arriverà fortissimo e travolgente, perché quello parlato dalla Febbre dell’oro è un linguaggio universale.
Siamo sinceri, allora, e smettiamola di scherzare. Perché scegliere di dedicare una giornata di cinema alla Febbre dell’oro e a Charlie Chaplin non è snobismo: è amore per il cinema. È riconciliazione con il cinema, è rieducazione, pulizia, e nutrimento per lo sguardo. Esattamente quello di cui abbiamo bisogno tutti, e in particolare uno come me che per i prossimi 11 giorni quello sguardo lo ingolferà con altre storie e altre immagini, di certo non tutte all’altezza di Chaplin.
Se i grandi festival e la distribuzione più illuminata stanno dando tanto spazio al cosiddetto cinema di patrimonio, ai classici, al cinema del passato, chiamatelo come vi pare, è anche per questo: per dare l’occasione a tutti noi di rieducare, pulire e nutrire in maniera sana uno sguardo ingolfato da troppe immagini. Immagini spesso irresponsabili, come ricordava proprio Fremaux parlando del suo documentario sui fratelli Lumière.
Certo, film come La febbre dell’oro, e come il programma delle sezioni dei Classici di Cannes o Venezia, da certi punti di vista, hanno vita facile: sono film che hanno superato la prova più importante, quella del tempo, mentre i titoli nuovi ovviamente ancora no. Chissà se si parlerà dei tanti Partir un jour che vediamo e che vedremo, tra cent’anni. Io credo di no. La posizione più snob, allora sarebbe quella di snobbare (appunto) il nuovo e concentrarsi solo sul vecchio. Non me lo posso permettere, e in fin dei conti non sono affatto sicuro che, potendo, vorrei farlo.
Ma per una giornata, per la giornata di oggi, abbiate pazienza, e lasciate che sia così.