What Does that Nature Say to You, la recensione: Hong Sang-soo fa Hong Sang-soo, anche sfocato
Per l'ennesima volta in concorso alla Berlinale il regista coreano, con un'ennesima storia fatta di calma, dialoghi, bevute e senso della vita. La recensione di What Does that Nature Say to You di Federico Gironi.
Hong Sang-soo incontra Ti presento i miei, quasi. E, ovviamente, nemmeno a dirlo, tutto a modo suo. Perché What Does That Nature Say to You, nella sua superficie, e nella sua essenzialità, racconta infatti del primo incontro tra un ragazzo circa trentenne e i genitori della sua fidanzata. Perché Donghwa, figlio di un famoso avvocato in rotta con la famiglia per inseguire il sogno di vivere facendo il poeta, Junhee l’aveva solo riaccompagnata a casa, fuori città, con la sua macchina (che è una vecchia Kia Pride station wagon, un modello degli anni Novanta considerato molto cool, e la cosa avrà il suo perché), e non si aspettava, lui come nessun altro, che in realtà avrebbe passato l’intera giornata con i possibili suoceri.
Hong non è ovviamente Jay Roach, e soprattutto la Corea non è l’America, e quindi le dinamiche di questo incontro non hanno niente a che vedere con quelle di quella commedia del 2000, né - se mi si passa il paragone - col classico Indovina chi viene a cena?, che pure ha qualche punto di contatto in più.
Ossessionati da formalità e cortesia, i personaggi di questo film vivono di scambi apparentemente innocui e amichevoli, spesso accompagnati dalle inevitabili bevute alcooliche che tanto sono care a questo regista. Tutto, insomma, sembra andare bene, non fosse per qualche crepa appena percettibile. Una rigidità che non è solo quella dell’imbarazzo, certe osservazioni della sorella di Junhee (che, in quanto malata di depressione, sembra essere l’unica autorizzata a rompere le barriere formali), e ovviamente i commenti finali, in solitudine, dei genitori della ragazza.
Con ostentata semplicità rohmeriana Hong utilizza dialoghi all’apparenza innocentissimi per sferzare di nascosto e sbilanciare personaggi e spettatori, per raccontare di un’individualità un po’ artificiosa e velleitaria ma tutto sommato sincera nella sua ingenuità (quella di Donghwa, rispecchiata nella sua auto sgangherata ma di gran moda) messa sotto implacabile esame da un nucleo borghese che si nasconde dietro le buone maniere per non parlare davvero né agli altri, né di sé.
Diviso in capitoli, What Does That Nature Say to You utilizza camera fissa, al massimo un paio dei tipici zoom volutamente posticci, e soprattutto sceglie di mettere sullo schermo immagini lofi, sgranate, pixellate, a volte perfino sfocate, tanto a un tratto ho controllato di avere gli occhiali sul naso. Hong ci dice che la realtà delle cose è così, sfocata, difficile da cogliere nella sua nitidezza, come avviene per Donghwa, che non si rende conto di cosa stia facendo e a cosa stia andando incontro. Ci dice che questo suo film, così asciutto, così sfacciatamente esemplare, così distillato di tanto (troppo?) suo cinema precedente, parla di verità che sono evanescenti, miraggi, apparentemente a portata di mano, ma mai davvero afferrabili.
E in questo sta tanto il suo fascino, quanto la sua natura problematica.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival