100 litri di birra: la recensione dell'alcolicissima commedia finlandese
Presentata in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024 la nuova commedia di Temu Nikki, storia che gira attorno a una tradizionale birra artigianale che si produce in Finlandia, la sahti. La recensione di 100 litri di birra di Federico Gironi.
Innanzi tutto, non è birra normale, non è la birra che intendiamo noi, ma sahti, che è limitativo definire anche semplicemente una birra artigianale. È piuttosto una bevanda tradizionale, di colore scuro e torbido, a base di ginepro e senza bollicine. Tasso alcolico compreso in genere tra il 7 e il 12%.
Fatto sta che Taina e Pirkko, le due sorelle di mezza età protagoniste di questo film, hanno promesso a una terza sorella, per il suo matrimonio, 100 litri della bevanda, che producono per tradizione familiare e che tracannano in abbondanza, come del resto alcolici di ogni genere e tipo. Solo che, una volta preparato tutto, i 100 libri svaniscono dopo alcuni giorni di baldoria, e Taina e Pirkko devono trovare il modo di procurarsi un altro ettolitro per non rovinare le nozze.
Teemu Nikki è quello di La morte è un problema dei vivi, e chi ha visto quel film sa bene quanto il finlandese non sia esattamente un autore che ama le finezze e la sottigliezza nei suoi racconti. Qui, sebbene storia e contesto siano del tutto diverse, il regista conferma di preferire la grana grossa, l’umorismo nero e una spiccata propensione per il grottesco che avvolge contenuti chiaramente malinconici.
Calato nella luce dorata e nella natura lussureggiante della Finlandia meridionale (il setting è la cittadina di Sysmä, poco più di 3500 abitanti, città natale di Nikki), 100 litri di birra affonda le sue radici nella cultura rurale del suo paese e nella tradizione della produzione casalinga del sahti (bevanda immancabile in ogni festività, festa o ricorrenza), senza dimenticare anche di descrivere quelle inconfondibili sfumature country western che accomunano le province meno urbanizzate dei paesi del Nord Europa e scandinavi.
Da lì, Nikki parte per un viaggio perlopiù comico e paradossale lungo gli alti e i bassi dell’abuso di alcol, nemmeno fosse (e forse vorrebbe) il Vinterberg di Un altro giro, e attraverso le piccole e grandi ruggini dei rapporti familiari: perché le due protagoniste vivono, tra un litigio e una riappacificazione, nell’asia di produrre un sahti buono quanto quello di un padre che gode del suo primato, e - almeno una di loro - nel senso di colpa per un incidente d’auto che, anni prima, causa ovviamente il bere - aveva fatto perdere una gamba alla sposa.
Così, tra sbronze colossali, recriminazioni sul passato, scombinati e scoordinati furti di taniche di sahti, rivalità generazionali tra distillatori concorrenti e più o meno inopportuni attacchi di diarrea, 100 litri di birra procede beffardo e grossolano verso l’inevitabile finale agrodolce (più agro che dolce).
La visione ingolfa, stordisce, solo a tratti più o meno diverte. Speriamo almeno dopo non ne derivino postumi troppo pesanti.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival