Honeydew, il film documentario diretto da Marco Bergonzi e Michael Petrolini, ci porta in uno sperduto villaggio montano nella contea di Humboldt, California.
Alla fine degli anni Settanta, un gruppo di idealisti si stabilisce in questa zona sperduta, attratti dal desiderio di vita semplice e libertà. Tra boschi fitti e strade sterrate, nasce una comunità alternativa, dove la coltivazione illegale di marijuana diventa presto una forma di sostegno economico e un'espressione di indipendenza. Per decenni, questo fragile equilibrio resiste ai controlli delle autorità, alimentando una cultura di solidarietà, condivisione e resilienza quotidiana. Ma l’incanto comincia a sgretolarsi nel 2016, quando la California legalizza la cannabis per uso medico e ricreativo. Con la legalizzazione arrivarono speculatori, nuove regole e dinamiche economiche aggressive. L’industria di cannabis, un tempo sotterranea e autogestita, viene inghiottita da logiche di profitto e produzione su larga scala. I vecchi coltivatori, abituati a muoversi nell’ombra, si trovano improvvisamente ai margini di un sistema che non riconosce più le loro competenze, metodi o valori.
Incontriamo abitanti storici di Honeydew, come Maureen, oggi sessantenne, che negli anni Ottanta attraversò l’America a bordo di un vecchio scuolabus cantando country. A Honeydew ha cresciuto due figlie, allevato animali e gestito una vasta piantagione con passione e fatica. I racconti di chi ha vissuto quel periodo ci invitano a riflettere sulla trasformazione di un luogo che da rifugio alternativo è diventato terreno di scontro tra memoria e mercato.
Il nome Honeydew, in inglese significa “melata”, la sostanza zuccherina lasciata dagli afidi sulle foglie. Fu scelto perché evoca una dolcezza nascosta, frutto di una convivenza sottile tra natura, clandestinità e libertà.