Vermiglio: la recensione del film di Maura Delpero Leone d'Argento al Festival di Venezia
L'opera seconda di Maura Delpero è una splendida sorpresa, un appassionante ritratto familiare di un anno in alta quota alla fine della Seconda guerra mondiale. Un ricordo d'amore personale che conduce in Trentino. La recensione di Mauro Donzelli di Vermiglio, in concorso a Venezia.
Tante cose possono accadere in quattro stagioni, in un anno oltre l’altipiano, fra le cime e gli alpeggi della Val di Sole trentina, quando ancora non sono rimarginate le ferite della (prima) guerra, il cui l’epicentro si sviluppava poco lontano. Siamo nel 1944, al quinto anno di un’altra guerra, sospesi fra una fine che si annuncia imminente e gli effetti sempre più evidenti sulle famiglie che giungono fino al paesino di Vermiglio. Mariti e padri sul fronte e chissà se torneranno, donne costrette a occuparsi di tutto, insieme agli anziani, dentro e fuori di casa. Proprio in quella zona del Trentino, luogo di provenienza della famiglia della regista, il film è quasi interamente girato.
Vermiglio è il secondo film di Maura Delpero, dopo il notevole esordio Maternal, è la storia di una famiglia, numerosa come di regola in quel periodo e a quelle latitudini, di bambini e anziani, generazioni che convivono, esigenze diverse e un’educazione rigida. In un microcosmo in cui il la quotidianità si svolgeva in comunità, mentre l’equilibrio del paese viene sconvolto dall’arrivo di un soldato rifugiato, bollato presto e da molti come disertore, un alieno che parla una lingua diversa, il siciliano.
Una storia che racconta la ricerca del momento esatto in cui una fine lascia spazio a un nuovo inizio, in cui la guerra si trasforma in pace, tutto intorno, ma la famiglia si trova invece in contemporanea a vivere l’esplosione dei conflitti interni delle figlie adolescenti alle prese con i primi passi verso l’età adulta, pronte a delineare una propria personalità, a salutare una nascita, a liberarsi dell’identità collettiva di quei letti condivisi fra sorelle e fratelli, del fuoco della stufa attorno al quale ritrovarsi tutti insieme raccontando la propria giornata. Insieme al Paese, anche quella civiltà montana si evolve e si ibrida, porta a scoprire quello che c’è a valle e oltre, a perdere l’esclusività del dialetto verso una compiuta dimensione nazionale tanto invocata.
Delpero ci introduce senza indugio, fin dalla prima inquadratura, in quella orchestra di suoni e movimenti regolati, di scricchiolii di fienili usurati dal tempo, di lenzuola da corredo irrigidite dal freddo. Una seducente atmosfera che ci accompagna in quel mondo e in quel tempo, con l’ausilio di volti e voci, in un'immersone nella quotidianità di gesti secolari che ci inchiodano alla poltrona con la potenza del più adrenalinico inseguimento metropolitano. Un universo apparentemente immobile in cui, non appena ci si sincronizza a quel senso del ritmo inconsueto, piccoli dettagli rappresentano rivoluzioni, senza bisogno di parole i rapporti possono trasformarsi in tempeste emotive.
Un rigore ossessivo e mai gratuito, che rimanda, inevitabilmente, alla dimensione rurale di Ermanno Olmi, in cui la dimensione femminile si fa punto di vista, rappresentando con precisione e sofferenza le costrizioni delle giovani, le invidie e le impossibilità a realizzare in pieno i propri sogni, per imposizioni secolari ma anche per gli effetti dei coprotagonista cruciale, ma sempre fuori campo. Quella guerra da cui non si torna, che ha creato vedove e orfani come non mai, complicando una vita già segnata dalle imposizioni di una natura indifferenti alle sorti di chi si è arrampicato fra quelle cime.
Vermiglio è l’irruzione per un attimo, un battito di ciglia, nel mondo dei nostri nonni o bisnonni, sfogliando pagine di memoria collettiva, animando foto in posa color seppia e ricordi nascosti in cassetti che sanno di chiuso. La grappa e il latte caldo come madeleine di una realtà che non è mai stata così vitale e piena di bellezza, schiva eppure irresistibile.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito