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Queer o delle fragilità amorose: incontro con Luca Guadagnino e Daniel Craig

In arrivo dal 17 aprile dopo la presentazione a Venezia, Queer rappresenta una delle sfide più ambiziose della carriera di Luca Guadagnino, adattamento del classico contemporaneo di William S. Burroughs. Il regista ha incontrato la stampa a Milano insieme al protagonista, un eccellente Daniel Craig.

Queer o delle fragilità amorose: incontro con Luca Guadagnino e Daniel Craig

Sembra molto lontana la Città del Messico del 1950, con le sue tentazioni e il dolore di una passione amorosa non corrisposta. Ma la capacità di Luca Guadagnino è stata, in Queer, di rendere emotivamente profondamente attuale, pur sospeso nel tempo, il classico scritto da William S. Burroughs nel 1951, ma pubblicato solo nell’85. Dopo la presentazione a Venezia, il film esce nelle sale italiane il 17 aprile, distribuito da Lucky Red. Rilassati e sorridenti, Luca Guadagnino e il protagonista, Daniel Craig, candidato al Golden Globe per quella che probabilmente è la miglior performance della sua carriera, hanno incontrato alcuni giornalisti in una assolata domenica mattina milanese.

Così racconta il suo incontro poetico con il libro Guadagnino. “Lo trovai casualmente nel 1988, a 17 anni, come se fosse venuto lui verso di me, nella Libreria Sellerio di Palermo, dove passavo tanto tempo e mi lasciavano stare a leggere quei libri che non potevo permettermi. Per Queer raccolsi i soldi per comprarlo e lo lessi, prima colpito dalla copertina dell’edizione americana molto potente. Devo ancora capire perché venni così colpito, ma fui travolto, incantato dal potere immaginifico della composizioni delle frasi in Burroughs. Sarebbe facile pensare che fosse perché ero un giovane omosessuale in fiore, ma in realtà fu piuttosto il fatto che il libro utilizzasse una lingua così provocatoria e libera, descriveva qualcosa che a me adolescente suonava come una forma di verità. Nell’adattamento, insieme allo sceneggiatore, Justin Kuritzkes, abbiamo cercato di essere strutturalmente fedeli, nello spirito, al romanzo originale. Ma la risposta è negli occhi di chi vede il film avendo letto il libro”.

Queer è ambientato nel 1950. William Lee è un americano sulla soglia dei cinquanta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, a parte qualche incontro con gli altri membri della piccola comunità americana. L'incontro con Eugene Allerton, un giovane studente appena arrivato in città, lo illude per la prima volta della possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno.

In un’epoca molto attenta all’utilizzo di parole che possano colpire o ferire dei gruppi sociali, il titolo Queer, inizialmente tradotto in italiano in Checca, può essere ritenuto forte. “Non credo che Burroughs si ponesse proprio il problema del titolo come offensivo, era il titolo dato al suo libro”, ha detto a proposito Guadagnino. “Il romanzo esiste dal ’51, anche se venne pubblicato nel 1985, e già il primo libro aveva un titolo come Junkie, che suona in italiano come tossico. Lui parla di una cosa interna a sé stesso, quello che conta è il potere della parola della sua opera, non l’attualizzazione a un momento particolare, che lascia sempre il tempo che trova”.

Una storia libera, forse addirittura rivoluzionaria? Così la pensa Daniel Craig. “Non mi prefiggo di fare niente di apertamente politico, l’intento è raccontare una storia che riguarda la condizione umana, e se questo è rivoluzionario tanto meglio. È insito nel mestiere di attore immedesimarsi con un personaggio una volta che inizia a leggere una sceneggiatura, entrando in connessione emotiva. Farei molta fatica a essere un produttore che ne legge tante, mi calerei interamente in ognuna e ne uscirei troppo provato. Nella mia carriera ho sempre provato a guardare avanti e mai indietro, perché nel momento in cui interpreto una parte è necessario che sia qui e ora, con una concentrazione sul presente, convincendomi di fare qualcosa di molto importante. Cerco di dedicarmi anima e corpo a quello che faccio, ma è per sua stessa natura un’esperienza fuggevole, che a un certo punto scompare. Non nella mente dell’autore, Guadagnino continuerà a portare dentro questo suo progetto a lungo, io invece devo andare avanti e passare oltre. Se ieri ho dovuto provare tristezza, magari oggi devo essere felice per un ruolo e devo farlo senza compromessi”.

In ogni adattamento ci si pone la domanda su quanto sia fedele e rispettoso della pagina scritta. Il regista ha sottolineato come “con lo sceneggiatore Justin Kuritzkes ci siamo chiesti in maniera ostinata se il libro ci stesse nascondendo il suo segreto, e siamo andati a vedere nella trama delle parole il filo nascosto di questo tema, che secondo noi è la fragilità amorosa di Burroughs, il dolore profondo di questo amore che lui ha provato e anche Allerton, non essendo in grado di riconciliare questo desiderio con la sua capacità di essere. Quando entrambi dicono ‘io non sono queer, sono disincarnato’, sono vinti da un gioco a scacchi in cui fanno scacco matto a sé stessi, guidati dalla loro forma di repressione. Il libro ci lascia tutti gli indizi per capire che dietro la repressione c’è un desiderio sconfinato di uno per l’altro. C’è un momento, nel libro come nel film, in cui un Lee colpito dall’astinenza dall’eroina, ha freddo e chiede a Allerton, che sta dormendo, di riscaldarlo. E lui gli dice di avvicinarsi e mette la sua gamba sopra quella di Lee. Lo fa mentre dorme, è un gesto che viene dall’inconscio, non come un abbraccio per riscaldare chi ha freddo. Viene dal di dentro”.

È molto presente, come sempre nei lavori del regista, la musica. “L’istinto per me è che abbia la funzione di un personaggio, che fa corpo a corpo con la performance degli attori. In Queer ci sono molte canzoni del momento da juke box, che parlano del luogo storico ma anche dell’immaginario americano nel Messico di quegli anni. Abbiamo poi avuto l’intuizione che Kurt Cobain, immenso artista che ha vissuto con un dolore cosmico e un sentimento di repressione, fosse vicino a Burroughs, idealmente e non solo, visto che diventarono amici, andando a sparare con i fucili. Mi sono detto che un ponte univa un guru sospeso nel tempo con la generazione grunge. La musica crea ponti che uniscono epoche e momenti diversi. Abbiamo fatto in modo che il dolore profondo che risuona nell’urlo dei Nirvana potesse diventare il partner emotivo di William Lee. Poi c’è la colonna sonora sontuosa di Trent Reznor & Atticus Ross”.

Inevitabile chiedere a Craig cosa pensi del futuro della saga di 007, che ha nobilitato per tanti anni interpretando James Bond. “Non penso molto, cerco di non farlo. Non mi interessa, sinceramente. So che si stanno muovendo verso una direzione piena di talento, hanno appena incaricato due produttori fra i migliori dell’industria. Ci sono tanti soldi coinvolti e spero che talento e denaro possano andare insieme per continuare a intrattenere il pubblico, che poi è il senso stesso per il quale è nata e continua a esistere la saga di Bond. Gli auguro ogni bene”.

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