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Pierfrancesco Favino e la difficoltà di un padre con un figlio adolescente

Enzo apre la sezione Quinzaine des cineastes. Un film postumo di Laurent Cantet poi realizzato dal suo collaboratore stretto Robin Campillo. La storia di un figlio adolescente e di un padre che vorrebbe imporgli delle scelte, che ci racconta da Cannes uno dei protagonisti, Piefrancesco Favino.

Pierfrancesco Favino e la difficoltà di un padre con un figlio adolescente

Il cinema di Laurent Cantet ha sempre raccontato temi sociali. Li ha declinati in un contesto familiare e nel sud della Francia a lui caro, a La Ciotat, nella sua ultima sceneggiatura. Proprio a pochi giorni dall’inizio delle riprese di Enzo è purtroppo scomparso per un tumore, ma il film si è fatto comunque, è diventato "un film di Laurent Cantet, realizzato da Robin Campillo". Chi meglio di quest’utlimo, già regista di 120 battiti al minuto, ma soprattutto montatore e co-sceneggiatore di Cantet in molte occasioni?

Enzo apre la Quinzaine des cinéastes del Festival di Cannes, e racconta di un ragazzo di 16 anni che si appassiona al lavoro di muratore, iniziando come apprendista, pur venendo da una famiglia agiata. Il padre che lo vorrebbe spingere agli studi e verso una carriera diversa è interpretato da un convincente Pierfrancesco Favino, perfettamente a suo agio nella recitazione in francese, che ha ricordato molto a Campillo proprio Cantet, “che come tutti i genitori ha avuto delle incomprensioni con i figli”.

Un progetto portato avanti, nonostante il lutto, “molto semplicemente, uniti e posso dire gioiosamente attivi, con l’idea di portare avanti un progetto che apparteneva già in qualche modo alla collaborazione storica tra Robin e Laurent”, come ha detto l’attore romano incontrando alcuni giornalisti italiani a Cannes. “La scelta di definirlo un film di Laurent Cantet realizzato da Robin Campio mi sembra molto vera. Conoscendo il suo cinema, sono stato molto felice di poter incontrare Laurent Cantet. Dopodiché, da padre, mi sono immediatamente ritrovato nella difficoltà di avere a che fare con un figlio che attraversa quel momento molto complicato rappresentato dall'inizio della costruzione della propria identità. L'amore non genera sempre il bene, possiamo anche amare male a volte. Il fatto che lo facciamo comunque per amore non ci garantisce di essere comunque nel giusto. Mi ha fatto domandare molto di me come padre. È un film che affronta cosa sia l’idea di progressismo, pensiamo di far parte di un ambiente intellettualmente vivo, mentre a volte ignoriamo le richieste di qualcuno, come un adolescente, che ha bisogno di trovare sé stesso, e quindi anche di rompere i legami con le proprie radici. E lo fa magari trovando un proprio talento. Quello che dice Enzo sul suo bisogno di concretezza è molto interessante rispetto alla modernità, a quello che noi viviamo in questo momento. Sono stato sedotto dalla scrittura, così intelligente senza mai essere retorica o dimostrativa”.

Il tema del film, e le domande che inevitabilmente Favino si è posto, ruotano molto intorno al ruolo di padre, a come lo si voglia o possa intendere. “Tutti quanti pensiamo di essere qualcosa, poi i fatti ci dicono quello che realmente siamo. Viviamo una fase della storia in cui non possiamo fare a meno dell’ascolto. Ascoltare qualcuno che è frutto del nostro sangue è molto complicato. Siamo limitati dall'amore, perfino dalla nostra appartenenza intellettuale. Nessuno è più intelligente di altri, o più adatto a stare al mondo. Una delle cose più coraggiose del film è affrontare la crisi della borghesia. Non c'è bisogno di scomodare Trump. Io sono un borghese, sono qui e sono in difficoltà. Faccio parte di questo mondo, non punto il dito nei confronti di qualcun altro. Sono qua, guardatemi, vestito così in un posto meraviglioso, a un festival di cinema, ma chi sta meglio di me? Eppure non riesco a conoscere mio figlio. Ho avuto un padre iper affettuoso, talmente tanto che questa sua affettuosità, credo per appartenenza generazionale, lo metteva in grande imbarazzo e quindi lo portava a un atteggiamento apparentemente formale. Ho avuto la fortuna di poter fare quel passaggio, che forse Enzo farà nella vita, di parlare a mio padre come uomo. Il bizzarro, per me, è stato che questo è avvenuto nel momento in cui mio padre si è ammalato. Però ho avuto la fortuna di vivere tre anni in cui gli ho potuto dire quello che pensavo di lui, vedendo chi era lui come essere umano e non come padre, e lui a sua volta ha iniziato a vedermi come uomo e non figlio. È stato un grandissimo regalo”.

Sulla differenza fra essere adolescente ai suoi tempi e oggi, Favino la pensa in maniera molto chiara. “Rispetto a quando avevo 16 anni, il mondo è molto più aggressivo, non solo nei confronti dei giovani, ha una richiesta più performativa. Sì, penso che sia più complicato per loro. Detto questo, poi, c'è una fase che non ha tempo, quella dell’adolescenza direi biochimica. Vedo la sofferenza delle mie figlie, degli amici, Mi piacerebbe ogni tanto dire, dammene un pezzo a me, ti do una mano, ma non si può. È un momento meraviglioso per ciò che puoi costruire, ma oggettivamente ti spaventa. Il mio personaggio è un padre in difficoltà, dolce e al contempo spaventato e violento, anche fisicamente. Ammetto che, fatto salvo l'aspetto fisico, capita anche a me. Nel momento in cui non sai come risolvere una situazione ti capita, o di alzare la voce dicendoti già mentre lo stai facendo che stai sbagliando, oppure di essere iperprotettivo e pensare sempre che stai sbagliando. Il mestiere del genitore è molto complicato. Qual è l'obiettivo? Per quello che mi riguarda è rendere libere le mie figlie di essere ciò che sono. Però fatalmente intervengo, perché sono un essere umano, non posso far finta di non essere ciò che sono e magari è proprio questo che le ostacola. Non esiste 'il' figlio adolescente, ma l'individuo che in quel momento sta attraversando l'adolescenza, così come il genitore che in quel momento sta cercando di aiutarlo”.

Inevitabile affrontare un tema molto attuale come il confronto e scontro fra il cinema italiano e il ministro Giuli, e la richiesta di un dialogo. “Credo che quell'appello dica tutto”, ha detto Favino. “Giustamente si cita prima di tutto chi ne ha viste più di tutti quanti noi, cioè il maestro Avati, che ha detto con grandissima chiarezza quello che c'è bisogno di dire. Io personalmente posso solo dire che una delle cose più belle che si è stata detto nell'ultimo periodo è quella che sia necessario costruire ponti. La faccio mia. Sono anni che chiediamo un'incontro e una collaborazione, ben prima di questo ministro e di questo governo, anche con altri governi. Siamo a disposizione. Ci proponiamo come possibili interlocutori per migliorare la situazione”.

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