Il Mohicano, l'ultimo pastore corso in fuga contro la mafia: la recensione del dramma di Frédéric Farrucci
Un pastore corso legato alla sua terra diventata di grande interesse per l'ennesima speculazione edilizia della criminalità. Un dramma sociale che diventa un western in viaggio per i paesaggi della Corsica. La recensione di Mauro Donzelli de Il Mohicano di Frédéric Farrucci
L’ultimo baluardo di un territorio in costante rischio di sconvolgimento, fra speculazioni edilizie e le opposte pressioni di poteri forti economici e malavitosi, che spesso sono la stessa cosa, e sempre contribuiscono alla sottomissione delle fasce socialmente più deboli della società. Siamo in Corsica, regione aliena e orgogliosa della Francia, mal raccontata e male interpretata da Parigi, con un radicamento culturale e antropologico molto forte al suo territorio, come i cugini sardi. Ma anche questa sarebbe una semplificazione accolta con scetticismo da Frédéric Farrucci, che da quella realtà proviene, e che con Il Mohicano ha voluto realizzare una storia politica, di quelle ostinate che si facevano negli anni ’70, anche se il soggetto sono i problemi di oggi e nel farlo si insinua nell’entroterra e nel litorale, dal meridione alla parte più nord della Corsica, di giorno e di notte, con atmosfere fra il western e il thriller paranoico.
Il protagonista, Joseph, è l'ultimo mohicano. Così come viene soprannominato nel suo paese. Uno degli ultimi pastori rimasti nel litorale dell’isola, in un luogo affascinante reso ancora più prezioso quando ci si alza di qualche metro e si nota come sia proprio a pochi passi da una costa e da un mare di una bellezza che non può che stimolare gli speculatori edilizi. Specie quelli della mafia locale, che fanno costante pressione su Joseph per vendere l’ultimo lembo di terra che manca per avviare un business promettente. La sua è un’ostinata voglia di resistere, al contrario di altri suoi amici e colleghi che lo spingono a cedere a un’offerta molto generosa, ma forse ancora di più a non inimicarsi quella “brutta gente”.
Una decisione che segnerà la fine del suo mondo, a maggio ragione quando accidentalmente uccide uno sgherro della mafia venuto a intimidirlo, e lo costringe a una fuga in cui sarà la preda di una caccia senza pietà fra il sud e il nord dell’isola. Una dinamica che ben si accorda con la seducente patina arcaica di un territorio che ancora, come Joseph, si ostina a lottare contro gli abusi dell’uomo nei confronti di una realtà brulla e quasi intatta.
Farrucci ha voluto rappresentare ogni sfumatura della sua isola e dei suoi dialetti, senza le concessioni di chi “dal continente” e dalla capitale racconta e rappresenta la Corsica senza conoscerla. Ci sono la lotta sociale e politica dei locali, c’è naturalmente anche la mafia, così come chi è nato qui ma ora vive a Parigi, a partire dalla cugina Vannina, in visita per le vacanze, che inizia a stimolare attraverso i social un vero e proprio movimento in sostegno di Joseph, che viene rappresentato in graffiti e post come una sorta di eroe solitario, finito suo malgrado vittima dei “soliti criminali”, di quei poteri forti che umiliano “la povera gente”.
Un’estate diversa dalle altre, una lotta di resistenza che usa la tecnologia più moderna per rivendicare un rispetto per una terra e uno stile di vita che sanno di antico. Rimane forte il fascino per questa figura comune, non particolarmente atletica, che scavalca muri a secco e macchia mediterranea, in fuga per una libertà che non rivendica niente di eccezionale o eroico. Joseph è interpretato da un attore sempre più convincente, Alexis Manenti, anche lui corso di origine, lanciato da I miserabili di Ladj Ly.
Il Mohicano intrattiene con una buona dose di tensione e suspense, costruite sulla purezza di una lotta per la libertà, la rivendicazione di un’autentica quotidianità che rispetti il vicino e la natura in cui vivere. Una conferma di una bella vitalità del cinema made in Corsica.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito