Ritrovarsi a Tokyo, il dramma di un padre che cerca la figlia: la recensione del film con Romain Duris

01 maggio 2025
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Un francese ogni giorno percorre le strade di Tokyo alla guida di un taxi in cerca della figlia da nove anni. Una storia di amore fra un padre e una figlia che non si ricorda più di lui in un dramma riuscito con un ottimo Romain Duris, diretto da Guillaume Senez. La recensione di Mauro Donzelli.

Ritrovarsi a Tokyo, il dramma di un padre che cerca la figlia: la recensione del film con Romain Duris

Una città vista da un abitacolo, di giorno e di notte, come fosse taxi driver in preda ai propri demoni. È questa l’inusuale ambientazione che racconta di come le pulite geometrie di una metropoli sempre più di moda, come Tokyo, diventano angoli taglienti che opprimono la quotidianità di Jay (Romain Duris), un uomo che cerca sua figlia, Lily, da cui è separato da nove anni, sparita nei meandri della metropoli insieme alla madre. Lui è francese, ma in Giappone è bene integrato, parla la lingua molto bene, mentre lei è giapponese e ha ottenuto la custodia esclusiva della piccola. Qualcosa che succede sempre, in quel paese, legandosi a una legge vecchia più di un secolo non prevede l’affidamento congiunto. Dopo aver perso la sua battaglia, Jay sembra aver perso ogni speranza e sta per tornare in Francia per gestire insieme al padre un ristorante.

Duris torna a lavorare con Guillaume Senez, un autore belga che ha legato strettamente la sua ancora giovane carriera al racconto della paternità e degli ostacoli alla piena realizzazione dell’amore di un genitore per il proprio figlio. Insieme si erano fatti apprezzare per Le nostre battaglie, in cui Duris era un uomo che doveva gestire la vita lavorativa e i due figli piccoli dopo l'improvvisa sparizione della compagna. Questa volta la sua “parte mancante”, per citare il titolo originale di Ritrovarsi a Tokyo, è una figlia che non ha mai conosciuto, che porta nei lineamenti un padre occidentale, ma senza aver mai condiviso niente con lui. Questa storia racconta proprio di questa ricerca, che sembra disperata fino a che una sostituzione casuale al lavoro, mentre guida il taxi, capisce di averla ritrovata, anche se ovviamente lei non lo riconosce.

Senez evita la Tokyo seducente dai colori sgargianti e la verticalità che mozza al fiato, si sposta di qualche chilometro per raccontare la città quotidiana vissuta realmente dai suoi abitanti, fredda e a tratti respingente, in cui lo scontro culturale finisce di essere seducente e mette in scena una rigidità che colpisce, pare, oltre 100 mila genitori ogni anno, coppie miste ma non solo. La camera segue in ogni fotogramma questo viaggio quotidiano del protagonista, come fosse Ulisse in continua ricerca, pur non spostandosi se non di quartiere o di pochi isolati. Un inseguimento durante il quale non si permette altro che una vita monastica e solitaria, una casa spoglia così come una routine in cui ogni incontro e appuntamento è orientato all’unico scopo per cui si sveglia la mattina: ritrovare Lily. Ma è nel modo in cui poter superare lo squilibrio nel rapporto fra i due, una volta che quello che sembra impossibile diventa realtà, che il film sale di giri e si addentra nella invisibile potenza di un rapporto così esplosivo, anche se mai alimentato da anni di quotidianità.

Ritrovarsi a Tokyo commuove per la forza di un sentimento inespresso ma portato con sé per tanti anni, per la capacità di raccontare una maniera personale ma allo stesso tempo universale di esprimere le proprie emozioni, contro un ambiente ostile che fa sentire Jay costantemente in trincea a combattere una guerra ingiusta, imposta dalla donna che ha amato anche all’inconsapevole figlia. Senza pretese eroiche, se non l’inesauribile forze e pazienza di un genitore che per anni subisce la modifica genetica di respirare con un solo obiettivo, di poter essere pienamente padre e amare sua figlia.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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