Ho visto un re, la recensione: da una bizzarra storia vera una deliziosa fiaba morale per tutte le età

23 aprile 2025
3.5 di 5

Convince, diverte e fa riflettere il nuovo film di Giorgia Farina, Ho visto un Re, che parte da un'incredibile storia vera e la racconta supportato da un cast in stato di grazia attraverso gli occhi di un bambino che sogna i colori del mondo di Salgari. La recensione di Daniela Catelli.

Ho visto un re, la recensione: da una bizzarra storia vera una deliziosa fiaba morale per tutte le età

Immaginiamo (per fortuna non c'eravamo) un mondo in cui tutto è ammantato di nero: la propaganda è martellante, le divise per grandi e piccini sono obbligatorie, si parla per slogan e tra maschi e femmine c'è una differenza abissale. Mentre le seconde sono considerate solo come madri e mogli, i primi devono essere duri, obbedire e combattere. Il protagonista di Ho visto un re è un bambino che in questo mondo è nato, e se da un lato ha la fortuna di provenire da una famiglia molto benestante e vivere nella villa di famiglia - con una madre distratta e uno zio sensibile e attento alla sua formazione umana e culturale -, dall'altro ha la iattura essere figlio di un gerarca che vorrebbe farne un perfetto balilla e non esita a ricorrere a punizioni corporali quando questo strano e debole figlio lo delude. E' difficile pensare, per chi è abituato alla libertà, cosa deve essere stato vivere sotto l'oppressione di un sistema pervasivo in ogni aspetto della vita personale e sociale.

Emilio però, come tanti ragazzi, una valvola di sfogo ce l'ha: le meravigliose avventure di Sandokan e dei tigrotti della Malesia, nate dalla penna di Salgàri, uno scrittore infelice e sfortunato che ha il suo stesso nome. La sua immaginazione prende vita quando nella piccola Roccasecca arriva, prigioniero di guerra, un ras etiope dalle vesti variopinte (siamo nel 1936, ai tempi della campagna/invasione coloniale dell'Etiopia), Abraham Imirrù, un giovane uomo colto e mite che conserva dignità e distacco di fronte alla volgarità che lo circonda. Sistemato nel giardino della villa, nella voliera del pavone, viene trattato relativamente bene nella speranza che decida di collaborare e dare informazioni utili sui ribelli del suo popolo, ma diventa per il paese anche un'attrazione esotica, un subumano da esporre al pubblico ludibrio dell'ignoranza generale. Per alcuni è il nemico, ma per Emilio è Sandokan, il suo eroe, e diventerà il perno del cambiamento e della liberazione per lui e per molte delle persone con cui è quotidianamente in contatto.

Nasce da una storia vera (per la precisione da un capitolo del libro del giornalista Nino Longobardi “Il figlio del podestà”) questa deliziosa fiaba per tutti, che attraverso lo sguardo di un bambino senza pregiudizi racconta un'epoca buia, razzista e violenta, dove le meschinità del potere e l'arroganza dei mediocri hanno libero sfogo. Giorgia Farina con i suoi co-sceneggiatori Franco Bernini e Walter Lupo non dimentica di infondere al racconto una verità che fa male, in quella che resta comunque una commedia a tratti anche molto divertente. Nella struttura di una storia quasi surreale, ci identifichiamo immediatamente coi personaggi che condividono il dolore e la sofferenza inflitta dai bulli agli altri, ai “diversi”, a tutti quelli che non si omologano. E ci piace molto la fine che vede, più come una proiezione e un desiderio che come una conclusione realistica, il mondo salvato dai ragazzini, coi loro colori e la loro fantasia.

Per la riuscita di un film del genere ci vogliono ottimi attori: Edoardo Pesce dà al suo podestà caratteristiche umane che ci fanno provare perfino compassione per la sua ottusità e la sua stoica dedizione ad un'idea che non è nemmeno sua (la sua fine, che non riveliamo ovviamente, ci ha ricordato la stolida solitudine del geniale e precursore Fascisti su Marte); Sara Serraiocco è brava nel tratteggiare il ritratto di una donna intelligente ma malmaritata che sfoga le sue frustrazioni nell'arte e concede le sue attenzioni all'uomo sbagliato, così come lo è Blu Yoshimi nella sua conversione da fanatica della verità ufficiale a ragazza che capisce e cambia, sorprendendo anche se stessa. Il piccolo Marco Fiore nel ruolo di Marco è espressivo al punto di sembrare già un piccolo veterano, Gabriel Gougsa, al suo esordio, rende tutte le sfumature del suo ras in modo perfetto e tutto il cast di contorno è intonato alla partitura intessuta dalla regia e dalla scrittura del film.

Una nota a parte meritano due dei migliori attori del nostro Paese, capaci di impreziosire qualunque film in cui appaiono: Gaetano Bruno dà vita a un federale futurista fatuo e molto divertente, dopo averci fatto piangere con la sua interpretazione di Matteotti in M – Il figlio del secolo, mentre uno splendido Lino Musella interpreta lo zio “diverso” di Emilio con un'intensità emotiva che colpisce al cuore. Danno il loro ottimo contributo alla riuscita del film le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, i costumi di Stefania Grilli e la fotografia di Francesco Di Giacomo, tra gli altri. In conclusione, Ho visto un re non è un capolavoro, ma uno di quei piccoli film diversi, amabili e rari, di cui abbiamo sempre bisogno, che nascondono dietro alla loro apparente semplicità un grande cuore e tanta intelligenza.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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