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Interviste Cinema

David Cronenberg ci rivela i segreti di The Shrouds, un film affascinante nato dal dolore ma non terapeutico

Arriva al cinema il 3 aprile con Europictures e Adler Entertainment The Shrouds- Segreti sepolti, il nuovo, attesissimo film del maestro David Cronenberg. Ne abbiamo parlato col regista.

David Cronenberg ci rivela i segreti di The Shrouds, un film affascinante nato dal dolore ma non terapeutico

Grazie ad Europictures e Adler Entertainment arriva al cinema il 3 aprile (l'Italia ha il lodevole record di essere il primo Paese al mondo a distribuirlo), il nuovo e fondamentale film di David Cronenberg, The Shrouds – Segreti Sepolti, ventiduesimo lungometraggio di una carriera unica, iniziata nel 1975 con Il demone sotto la pelle (Shivers). The Shrouds, presentato in concorso al Festival di Cannes e in anteprima italiana al BAFF, Film Festival di Busto Arsizio, nasce da un'esperienza molto dolorosa del regista, la morte della moglie Carolyn, a cui era legatissimo e con cui collaborava anche nel lavoro, avvenuta nel 2017 a causa di un tumore. Dopo, dice il regista, non era sicuro di tornare a lavorare, ma per nostra fortuna tre anni fa è tornato dietro la macchina da presa per Crimes of the Future e in The Shrouds, tra le altre cose, mette in scena il dolore di un uomo che non vuole distaccarsi dal corpo della donna che ha amato (e che rivede nella sorella: il doppio è un altro dei suoi temi ricorrenti), tanto da aver inventato una tecnologia che permette, grazie all'utilizzo di speciali sudari, di osservare nella tomba il processo di disfacimento dei propri cari, Del resto, per il regista, ateo, il corpo è l'unica cosa reale e tutto finisce con quello. Una visione che può spaventare ma che gli appassionati del suo lavoro apprezzeranno in un film che parla di moltissime altre cose ed è pieno di elementi su cui potremmo discutere per ore.

Aspettavamo dunque con impazienza di poter incontrare dal vivo David Cronenberg, atteso per la presentazione del film alla stampa, in una delle sue rare visite italiane. Purtroppo un'indisposizione lo ha fatto rientrare a Toronto e gli incontri, grazie alla sua disponibilità, si sono svolti - in bizzarra sintonia con i temi della pellicola - attraverso gli schermi di un computer. Ad ogni domanda, il regista ha dato risposte lunghe e dettagliate, molto sincere, confermandosi uomo di grande intelligenza e di un fascino quasi ipnotico, anche adesso che ha 82 anni. Nonostante il grave dolore che lo ha colpito non ha perso la sua voglia di comunicare e il senso dell'umorismo. Cronenberg non ama le etichette, come quella di “body horror” rimasta appiccicata al suo cinema e non gli piace neanche essere definito un regista visionario. Unico però lo è di sicuro. Appassionato da sempre di corse e di auto, tra quelle che possiede ha più di una Tesla che ama moltissimo, anche se non può dire altrettanto di Elon Musk. Nella speranza di poterlo prima o poi incontrare dal vivo, ecco in sintesi cosa ci ha raccontato a proposito di The Shrouds e del suo approccio al cinema e alla vita.

La prima domanda, inevitabile visto anche che è uno dei temi del film, è sul fatto se abbia paura o meno dell'Intelligenza Artificiale.

In realtà ci sono tantissime persone che hanno paura di tantissime cose, ma noi l'intelligenza artificiale la usiamo e l'abbiamo utilizzata da tanto tempo, in forma diversa rispetto a quelle che sono le forme più potenti ed efficaci che abbiamo oggi. Per quel che riguarda il cinema, per me è solo uno strumento in più. E' qualcosa che esiste da tanto tempo, tutti la usano, se pensiamo a quando siamo passati dalla pellicola al digitale e poi all'utilizzo della computer graphic, questo è soltanto un altro strumento tra quelli che abbiamo a disposizione e non è che venga sempre utilizzato per creare degli universi Marvel, a volte lo si usa per modificare una parte di un'inquadratura, per migliorare la luce all'interno di una sequenza o anche per eliminare magari un microfono entrato in campo durante le riprese, dettagli. Dipende come tutte le cose da come viene utilizzato, non necessariamente però poi fa la sostanza del film. Certo può essere usata male, se ne può abusare per scopi illeciti o illegali, per frodi, ma gli esseri umani lo fanno da prima che esistesse il cinema, quindi non è qualcosa di cui io ho paura. Magari forse ci si può chiedere se sia legittimo con l'intelligenza artificiale continuare a far recitare un attore che nel frattempo è morto, questo solleva questioni di ordine legale, morale ed etico di cui si può discutere ma non da avere paura. Per me l'A.I. è solo un altro strumento di lavoro. Dopotutto, a meno che tu non faccia un documentario, stai creando un mondo di fantasia, personaggi che sembrano persone vere ma non lo sono. Lavori con gli attori per far questo, col montatore e con il direttore della fotografia. Per quel che riguarda il fatto che hanno migliorato l'accento ungherese di Adrien Brody in The Brutalist con l'A.I. ad esempio in M Butterfly io ho modificato la voce di John Lone, alzandola quando faceva la voce da donna e abbassandola quando era la voce maschile, lo si fa di continuo, ma questo non è un problema perché poi gli attori e i registi creano dei personaggi che in realtà non esistono. Non credo che sia qualcosa di immorale, fa parte di quello che è l'arte.

Gli viene chiesto se pensa che esistano degli eredi del suo cinema così unico, citandogli Julia Ducournau, regista vincitrice della Palma d'oro per Titane. Lui sorride e risponde. "Ho incontrato Julia Ducournau e anche Coralie Fargeat, ed entrambe mi hanno detto che sono stato per loro una forte fonte di ispirazione, quindi le considero un po' le mie figlie spirituali, ma devo dire che sembra siano state influenzate dai miei primi film, invece che da altri come Cosmopolis o Inseparabili. Quindi le ho influenzate con una parte del mio cinema e per me è molto bello e dolce saperlo perché non solo sono state ispirate da alcuni film in particolare, ma hanno avuto da me anche il desiderio di fare cinema e questo mi fa piacere".

E' stato riportato, come al solito in modo inesatto, che Vincent Cassel si sia presentato sul set con un look che lo faceva assomigliare tantissimo a Cronenberg. Gli chiediamo come sceglie gli attori e il rapporto che ha con loro, sul set e prima delle riprese.

La cosa fondamentale è che l'attore sia disposto a fare il ruolo, deve essere felice di essere nel tuo film. Questo è il primo requisito. Quello che in realtà ho detto alla stampa è che non ho scelto Vincent perché mi somiglia, in realtà non mi somiglia per niente, anche se i suoi capelli per caso sono come i miei che vedete ora. Non cercavo di fare un clone di me, è un personaggio. Per quanto il film sia nato dal mio dolore per la morte di mia moglie, quando si inizia a scrivere la sceneggiatura diventa finzione e anche i personaggi che crei lo sono. Io non sono un imprenditore high-tech come Karsh, non possiedo cimiteri e un ristorante come lui, è un personaggio inventato. Ma Vincent sentiva che gli avrebbe dato forza interpretare il personaggio come se fossi io e mi ha usato come modello. Certo abbiamo discusso tutto, i suoi vestiti, il trucco, lo facciamo insieme, non lo fa da solo. Agli attori piace essere molto coinvolti e necessitano di supporto. Ma il tipo di personaggio che in genere Vincent interpreta è quello del duro, che parla molto velocemente e poco, tanto che mi ha detto che in questo film ha avuto più dialogo che in tutti gli altri e per un attore questo può essere terrorizzante, ha bisogno di supporto. A me piace che gli attori mi facciano vedere come pensano dovrebbero dire le battute del dialogo, non faccio prove. Non faccio come a teatro dove si prova e si riprova, va bene per quello ma al cinema per me non funziona. So che per alcuni registi funziona, ma io lascio che sia l'attore a pronunciare le battute quando siamo giù sul set, abbiamo bloccato la scena e siamo pronti a girare: quella è la prima volta in cui sento le battute. Io lavoro così. In questo film Diane Krueger è rimasta scioccata quando ha saputo che non avremmo provato, perché era abituata a farlo, ma penso che tutti vedano che ha fatto un lavoro bellissimo ed è davvero una grande attrice, quindi in questo film è andato bene sia per me che per lei.

Quanto all'idea di restare in contatto coi propri cari dopo la morte, David Cronenberg è convinto che col corpo finisca tutto "Io sono un ateo, un esistenzialista, non credo nella vita dopo la morte e così sono anche i miei personaggi: di rado nei miei film sono religiosi o credenti, perché io non riesco a rapportarmici, anche se possono essere interessanti. In pratica il mio mantra, come nel mio penultimo film, Crimes of the Future, è “il corpo è la realtà”, quindi noi siamo il nostro corpo ed è una cosa bellissima ma al tempo stesso terrorizzante perché significa che a un certo punto noi cessiamo di esistere. E' molto difficile da un punto di vista psicologico ed emotivo immaginare la “non esistenza", tuttavia per me è davvero ovvio e lo è anche per i miei personaggi. Quando il film è stato annunciato all'inizio è stato presentato in modo non corretto, un critico ha scritto che il film parlava di connessione coi morti nell'Aldilà, nell'oltretomba. Ma non è corretto perché Karsh, come me, dice “mia moglie è morta, amo ancora il suo corpo, anche se cambierà nella tomba, ma voglio ancora essere unito a lei nella tomba, perché è quello che resta di lei e non mi illudo che ci sarà un paradiso dove ci incontreremo di nuovo”.

Essere stato un precursore le ha mai dato un senso di solitudine? "No, non mi sento solo, ad esempio adesso io sono qui a casa mia con tutti voi, poi quando sono sul set e realizzo un film sento la vicinanza e la presenza di tutti i miei collaboratori, tutti i miei amici, i miei “compagni in arme” che sono a fianco a me, il mio direttore della fotografia, il produttore, la segretaria di edizione, gli attori.. capisco però cosa intende ed è un'immagine interessante (sorride), magari prima o poi farò finta di essere stato un solitario esploratore dello spazio profondo o simili perché nello spazio si è davvero soli. C'è però un senso di solitudine nel regista, perché alla fine sei tu che prendi le decisioni, e nessuno può davvero aiutarti in questo. Hai intorno persone molto creative che ti aiutano in ogni genere di cosa, ma solo tu puoi prendere certe decisioni. Ma per quello che intendeva la domanda, no, non avverto quel tipo di solitudine".

L'incontro termina con una domanda che tutti ci siamo posti, cioè se fare un film che parte da una perdita così importante lo abbia in qualche modo aiutato ad elaborare il lutto e a venire a patti col dolore.Quello che Cronenberg risponde è sincero e molto dolce, e ci fa apprezzare ancora di più l'umanità di questo grande regista. "La risposta per quel che riguarda la sofferenza è no, fare il film non è servito per niente a lenire il dolore, che durerà per sempre e non se ne andrà mai. E' diverso per ognuno di noi ma penso che una delle lezioni universali che apprendiamo è che non esiste davvero una terapia per il dolore. Voglio dirvi questo: uno psicoterapeuta italiano di cui al momento mi sfugge il nome, è venuto a trovarmi a Toronto perché scrive libri sul cinema da un punto di vista psicanalitico, e abbiamo ovviamente parlato di A Dangerous Method, su Jung e Freud. A un certo punto mi ha chiesto “per quanto riguarda il suo dolore, come lo sta affrontando?” e io ho risposto “beh, soffro”. E lui mi ha detto “Va bene, credo che non le serva nessuna terapia”. Ci siamo compresi a vicenda".

The Shrouds – Segreti sepolti sarà al cinema dal 3 aprile su 120 schermi: non fatevi spaventare dal tema e vedetelo, è un film che vi sedimenterà dentro e a cui continuerete a ripensare a lungo, cosa al giorno d'oggi sempre più difficile. Grazie a David Cronenberg, che con la sua arte, da 50 anni, non ha paura di spingersi dove gli altri non osano, o semplicemente non possono.

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Schede di riferimento
  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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