Sound of Falling, la recensione del film in concorso al Festival di Cannes 2025

14 maggio 2025
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Quattro generazioni di donne, una grande casa di campagna, la storia di un paese. La recensione di Sound of Falling di Federico Gironi.

Sound of Falling, la recensione del film in concorso al Festival di Cannes 2025

Una casa, una vecchia fattoria di mattoni d’inizio Novecento, quattro linee temporali che si intrecciano al suo interno. Quattro famiglie, o forse una sola, con le generazioni che si susseguono.
Una ragazza che, negli anni Trenta o Quaranta, cammina con delle stampelle lungo un corridoio, per poi riportarle in segreto all’uomo senza una gamba che dorme in una stanza, e che guarda dormire affascinata. Una bambina d’inizio secolo biondissima che corre e gioca con i suoi fratelli dopo aver giocato un brutto tiro alla domestica, per poi ritrovarsi a spiare la mamma che dispone le foto dei morti su una credenza. Un’adolescente degli anni Settanta che zio e cugino guardano con malsano desiderio, e una famiglia felice dei nostri giorni che si è appena stabilità nella casa e incontra una giovane vicina di casa che ossessiona la figlia coetanea.

È un film ambiguo e misterioso, Sound of Falling, che ha un coraggio inusuale nella messa in scena e nel frantumare la sua trama - ammesso ne abbia una in senso tradizionale - ricombinandola in maniera mai lineare e costellata di ellissi arditissime, in cui i punti di vista, tutti sempre femminili, si mescolano così come le voci narranti, i personaggi, le epoche.
Un film che si presenta come feticista, morbosamente attratto dalla morte e dalla sofferenza, dalla trasformazione e dal decadimento materiale delle cose (la casa) così come dei corpi.

La regista Mascha Schilinski, alla sua opera seconda, mescola melodramma, art house, suggestioni metafisiche e surreali, usa perfino strumenti riconducibili al cinema dell’orrore per sedurre e spiazzare il suo spettatore, chiamato a ricombinare il puzzle che mette sullo schermo, nelle immagini in 4:3 piene di sgranature che aumentano e diminuiscono, di luci calde che avvolgono momenti carichi di gelo, taglienti crudeltà, abbandoni carichi di romanticismo (in senso alto, letterario, e non solo sentimentale).
Chiede molto, Mascha Schilinski, anche perché il suo Sound of Falling richiede due ore e ventinove minuti del nostro tempo, e un’attenzione costante. Restituire, restituisce molto in termini di suggestioni visive e narrative, un po’ meno per quello che riguarda senso e significato del suo film.

Che pure, le ambizioni, da questo punto di vista, sono alte. Perché nell’intrecciare quattro generazioni di donne, alle prese con la freddezza, la durezza, il cinismo e perfino la violenza di una famiglia e di una cultura, è ovvio e purtroppo anche fin troppo dichiarato che Sound of Falling sia un film nel quale, raccontando di un singolo luogo e di una singola famiglia, Mascha Schilinski racconta anche del suo paese, e della storia del suo paese nel corso del Novecento: le guerre mondiali, l’occupazione sovietica del secondo dopoguerra e la divisione nelle due Germanie, la riunificazione.

Il discorso funziona, ma fino a un certo punto, azzoppato da un eccesso di didascalismo da un lato e la voglia della regista di tornare sempre alla dimensione più intima e psicologica delle sue tante protagoniste dall'altro. Protagoniste che non sono accomunate solo da un legame di sangue, ma da tormenti di diversa provenienza, dall’essere testimoni inermi di un male che (non si dice ma si capisce) è ovviamente generato dal maschile. E, soprattutto, da una pulsione di morte che le invade e le trascende.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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