Il Maestro e Margherita: la recensione del'ambizioso film russo ispirato al capolavoro di Mikhail Bulgakov

14 maggio 2025
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85 anni dopo la morte del suo autore, la satira de Il Maestro e Margherita fa ancora paura. Michael Lockshin prova a riportare sullo schermo il romanzo in modo non fedele ma esplicitandone alcuni aspetti. La recensione di Daniela Catelli.

Il Maestro e Margherita: la recensione del'ambizioso  film russo ispirato al capolavoro di Mikhail Bulgakov

Siamo ormai rassegnati: Il Maestro e Margherita, uno dei libri più belli e cinematografici mai scritti, con scene che sembrano di volta in volta ispirate ai film dell'orrore e alla commedia slapstick, non arriverà mai al cinema nella sua forma pura. Non è che sia infilmabile, come sembrerebbero attestare le versioni parziali e parzialmente fallite - a partire da quella di Aleksandar Petrovic con Ugo Tognazzi nel 1972 - che hanno preceduto questo film di Michael Lockshin, perché un adattamento fedelissimo (e bellissimo, con un cast straordinario), è stato fatto proprio in Russia per il piccolo schermo con la miniserie diretta da Vladimir Bortko nel 2005 (trovate tutte le puntate su Youtube), e soprattutto oggi con lo sviluppo delle tecnologie anche le parti un tempo irrappresentabili sarebbero rese con facilità. Ma è anche perché, probabilmente, ognuno si accosta a questo incredibile romanzo secondo la propria visione e i propri limiti produttivi, pensando di magari di renderlo più attuale, quando nelle parole vergate su carta da Mikhail Bulgakov c'è già tutto: l'arbitrarietà del potere assoluto, la censura degli artisti veri e la ricompensa dei mediocri ruffiani, la sua vita amorosa, la ribellione, la repressione del pensiero libero di cui è stato vittima (controllato a vista, risparmiato dalle purghe staliniane solo per una qualche malsana simpatia del dittatore nei suoi confronti) per tutta la sua vita.

Non è libero un commediografo che non vede rappresentate le sue opere, uno scrittore a cui rifiutano di pubblicare i romanzi (di Mikhail Bulgakov in vita sono stati editi solo i racconti e i romanzi “Cuore di cane” e “Uova fatali" e anche in quei casi non senza problemi), un cittadino stimato a cui vietano di andare all'estero. Ma i manoscritti non bruciano, le parole scritte ritornano a vivere e dopo una prima distruzione del suo romanzo testamento, lo scrittore lo riscrive e dentro ci mette tutto quello che lo tormenta, facendone una satira feroce degli intellettuali di regime e della nuova classe dirigente che di comunista non ha nulla, parlando della crisi degli alloggi nella Mosca degli anni Trenta per cui miracolosamente gli appartamenti si allargano e si restringono e il proprio dramma personale. Immagina che in questo mondo così grigio e represso arrivi “parte di quella forza che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene”, ovvero Woland, Satana, coi suoi aiutanti demoni, pronto a smascherare l'avidità e l'aridità generale, l'illusione di immortalità di individui mediocri e ad aiutare il Maestro a “evadere” dal manicomio e a ricongiungersi con l'amata Margherita, diventata strega.

E' un romanzo rivoluzionario, dove l'incontro infelice tra Ponzio Pilato e Gesù Cristo commuove alle lacrime anche gli atei, denso di umanità, ironia e anarchica follia, con personaggi indimenticabili. Ciò detto, Michael Lockshin al suo primo film dimostra un'ambizione che la confezione esteriore del film sostiene, ma, pur conoscendo alla perfezione e amando la fonte, non si fida abbastanza della sua universalità e aggiunge un ulteriore livello ai molti in cui è stratificata: la vita del Maestro e i fallimenti dello scrittore si confondono, viene esplicitato quello che è già evidente nel personaggio protagonista, ovvero l'ispirazione autobiografica e molte parti fantastiche vengono accorciate, semplificate, confuse. Quelle che sopravvivono a questa riscrittura sembrano staccate dal resto, anche se sono efficaci in alcuni punti, come il Gran Ballo di Satana finale.

Se abbiamo apprezzato la fotografia, la sceneggiatura e l'interpretazione del protagonista Evgeniy Tsyganov, meno azzeccate ci sono sembrate altre scelte di casting, a partire da due bravi attori come August Diehl, troppo poco carismatico nei panni di Woland, così come poco caratterizzati in senso magico ci sono parsi i suoi aiutanti, mentre il Pilato di Claes Bang parla un latino dall'accento improbabile. Di fatto, però, molti attori hanno avuto solo poco spazio per sviluppare i loro personaggi, perché alla fine gli autori, incerti su cosa tagliare, hanno lasciato qua e là dei frammenti di scene più lunghe (eppure il film dura quasi due ore e mezzo). Insomma, per noi a quest'opera non priva di spunti interessanti, che consigliamo comunque di vedere, manca proprio la magia del romanzo, che ne è il vero motore e il punto focale attorno al quale tutto converge.

Dal momento che però la maggior parte delle critiche (e del pubblico che lo ha potuto vedere) ha elogiato un film che oggi, come avvenne allora con le opere dell'autore, è stato osteggiato dal regime di Putin, fino ad arrivare ad attacchi personali al regista, prudentemente espatriato in America (visto che ha la doppia cittadinanza), forse siamo eccessivamente severi. Probabilmente ci saremmo goduti maggiormente il film da “tabula rasa”, ma non è colpa nostra se di quel libro ci siamo innamorate da adolescenti e siamo tornate più volte a visitarlo, restando attaccate alle emozioni che ogni volta riscopriamo e che il cinema finora non è stato in grado di darci con nessuna trasposizione, per quanto devota o ispirata questa fosse.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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